Guru Datt (1925-64): Il tormento e l'estasi

"Il guaio è che io non solo so dirigere, ma so anche cosa significhi dirigere. L'angoscia mentale, il logoramento emotivo che bisogna attraversare non è certo la condizione ideale per essere ben presenti mentre si dirige, nemmeno per un maestro".

 

GURU DATT (1925-64): Il tormento e l'estasi

"Ci sono altri nel cinema che sono grandi. Ma lui era così diverso, così unico..." (Abrār Alvī)

"La ragione per cui non è arrivato ai risultati che avrebbe potuto ottenere è che era troppo avanti per i suoi tempi." (Kaifī Ózmī)

"Io credo che quando uno si muove contro vento deve essere preparato... a trionfi e a sconfitte... È questa sconvolgente imprevedibilità che affila il brivido di fare un film." (Guru Datt)

"Molto più che un esteta raffinato, è un regista sontuoso e decadente. Egli non ha storie da raccontare né temi da proporre, solo delle ossessioni che lo torturano e dei deliri megalomani da offrire... I suoi film non sono autobiografici né promotori. È piuttosto la sua vita che si è disposta progressivamente a rassomigliare ai suoi film. Creare delle storie per poi viverle." (Tesson 1983)

"Non si poteva leggere dentro Guru Dutt, ma una cosa di lui io l'ho letta... lui era veramente perduto, perduto nel cinema, ma perduto per la vita." (Rāj Khoslā)

"Il guaio è che io non solo so dirigere, ma so anche cosa significhi dirigere. L'angoscia mentale, il logoramento emotivo che bisogna attraversare non è certo la condizione ideale per essere ben presenti mentre si dirige, nemmeno per un maestro." (Guru Datt)

"Aveva grande amore, amore per il suo lavoro, amore per la gente, amore per le sue creazioni e amore anche per la morte. Perché amava la morte, perché ne tesseva l'elogio, la considerava la cosa più bella del mondo? Forse... ha cercato di trovare nella morte ciò che non aveva potuto trovare nella vita, un fine, una perfezione in cui non avrebbe mai provato il dolore dell'insoddisfazione." (Vahīdā Rahmān)

"Cosa offre la vita oltre oltre al successo e al fallimento? Uno dei due deve arrivare e io li ho visti entrambi: non c'è più gusto a vivere." (Guru Datt)

"C'è un momento di morte che non può essere evitato. Doveva accadere..." (Guru Datt)

Avvertenza
Parlare di Guru Datt in modo oggettivo e distanziato può talora rivelarsi un'impresa. Questa, almeno, è la sensazione che si ha nel leggere quello che molti hanno scritto su di lui. Si avverte qua e là una vibrazione, un'increspatura, un'impennata che erompe dalla superficie delle parole per tornare faticosamente a riassorbirsi in un'esposizione e in un'analisi che tentano di non perdere la direzione. C'è qualcosa nel grande cineasta che riesce a toccare una corda profondissima, che elude la ferma intenzione di mantenere una distanza critica, che incrina la volontà di soffermarsi sulle imperfezioni o la non riuscita di qualche opera o di qualche o molte parti dei suoi capolavori. Forse questo qualcosa è la verità dell'anima tormentata di Guru Datt che illumina i suoi film e penetra gli schermi di chi li guarda? Sia quel che sia, la sua luce ha fulminato sulla via di Damasco anche chi scrive queste righe. Così, per non farsi prendere la mano, sarà opportuno limitarsi ai dati. Ma una cosa va detta. L'intensità emotiva di Guru Datt, la sua statura tragica, la personalità diversa, altra, lo accomunano ad un solo cineasta, anche lui diverso, altro, anche lui non perfetto, o meglio "nonfinito", eppure segnato, attraversato da una luce unica e ineguagliata: Ritvik Ghatak. Come Ritvik Ghatak continua a vivere un presente dominato dalla tragedia collettiva della Partizione del 1947, in uno stato costante di profugo psicologico, così Guru Datt continua a vivere la sua emarginazione, assolutamente individualistica, di artista maledetto, profugo anche lui in un mondo dove non trova un ubi consistam se non come artista morto.
Salvo poi essere entrambi beatificati.


Vita e opere

Guru Datt (o Gurudatt o, alla maniera inglese, Guru Dutt, Gurudutt) Shivshankar Pādukon nasce il 9 luglio 1925 a Bangalore, nel sud dell'India. Nel 1929, con la famiglia, si trasferisce a Calcutta, dove vive a stretto contatto con il cugino della madre, B.B. Benegal, pittore e fotografo, nonché padre di uno dei maggiori esponenti del "nuovo cinema" indiano, Shyām Benegal. Grazie allo zio, nel 1942, dopo gli studi inferiori Guru Datt viene accolto all'accademia di danza di Almora (Uttar Pradesh), fondata e diretta da Uday Shankar, uno dei più famosi danzatori indiani (fratello maggiore di Ravi Shankar e padre dell'attrice Mamtā Shankar). Nel 1944, dopo la chiusura dell'accademia, Guru Datt trova lavoro a Puna, presso gli studi della Prabhat Film Company, come coreografo e aiutoregista, occasionalmente anche come attore. Nel 1951, l'amico Dev Ónand, ormai attore affermato (e destinato a diventare una leggenda vivente del cinema indiano), gli offre l'occasione di dirigere il primo film, Bāzī (La partita), a cui seguono Jāl (La rete, 1952), ancora con Dev Ónand nel ruolo principale, e Bāz (Il falco, 1953). Nel 1953, sposa la bengalese Gītā Rāy (1930-72), una delle più note e apprezzate cantanti di quegli anni. Nello stesso anno crea una sua casa di produzione, Guru Dutt Productions (poi Guru Dutt Films), la cui prima opera, Ór pār (Testa o croce, 1954), è il primo autentico successo del regista, che ne è l'interprete principale. Anche il film seguente - Mr. and Mrs. 55 (1955) - riscuote il favore del pubblico, ma il successo maggiore, anche finanziario, arriva con la produzione di C.I.D (1956, diretto da Rāj Khoslā), con Dev Ónand nel ruolo principale. Dopo aver completato un'opera poco riuscita, Sailāb (L'inondazione, 1956, lasciata incompiuta da un altro regista), Guru Datt realizza il primo dei tre film considerati i suoi capolavori, ovvero Pyāsā (L'assetato, 1957). Lo straordinario successo di Pyāsā rende ancora più amaro il fiasco di Kāghaz ke phūl (Fiori di carta, 1959), prima grande riflessione sul cinema stesso e oggi considerato un pietra miliare. Dopo questa delusione, Guru Datt decide di non comparire più come regista. Intanto il suo matrimonio con Gītā Rāy si è incrinato, più per la diversità dei loro caratteri che per la much maligned relazione di Guru Datt con Vahīdā Rahmān, danzatrice di bharatnātyam di Hyderabad, lanciata come attrice in C.I.D. e protagonista dei suoi successivi film. In seguito, Guru Datt produce e interpreta Chaudahvīn kā chānd (La luna del quattordicesimo giorno [luna piena], 1960, regia Muhammad Sādiq ), film di ambientazione musulmana e tra i più amati dalla platea indiana; è questo successo che gli permette di acquistare i diritti per l'adattamento cinematografico di Sāhab bībī aur ghulām (Il signore, la signora e lo schiavo o Re, regina e fante), noto romanzo del 1952 dello scrittore bengalese Bimal Mitra. La regia ufficialmente viene accreditata ad Abrār Alvī, lo sceneggiatore con cui Guru Datt lavora dal 1954 (Ór pār), ma il film viene unanimemente considerato creatura tutta di Guru Datt, attore protagonista. Uscito nel 1962, Sāhab bībī aur ghulām ottiene quattro premi nazionali: miglior film, miglior regia (ironia della sorte, ad Abrār Alvī per il suo primo ed ultimo cimento in questo campo), migliore fotografia (a V.K. Mūrti, che lavora con Guru Datt dal 1952) e migliore attrice (Mīnā Kumārī, 1933-72, considerata l'attrice tragica per eccellenza dello schermo indiano). Dopo questo film, Guru Datt continua a recitare con altri registi, mentre le sue vicende personali prendono una via sempre più cupa e distruttiva. La mattina del 10 ottobre 1964 viene trovato morto, stroncato da alcol e barbiturici, una sorte che accomunerà la moglie Gītā nel 1972 e il primogenito Tarun nel 1988. Anche per Guru Datt, come per il protagonista di Pyāsā, il riconoscimento effettivo arriva postumo. A una quindicina d'anni dalla sua morte nasce in sordina un interesse per questa figura, a un tempo fuori e dentro gli schemi, interesse che si diffonde non solo in patria ma anche in occidente, grazie particolarmente al critico francese Henri Micciollo, che prima e meglio di ogni altro da questa parte del Hindukush ha compreso il grande cineasta, oggi simbolo di una stagione unica.


La "trilogia"

Pyāsā (L'assetato, 1957): Vijay (Guru Datt) è un poeta le cui composizioni, eterodosse rispetto alla tradizione, vengono rifiutate da tutti gli editori. Trova lavoro come impiegato presso la casa editrice di Mr. Ghosh (Rahmān), marito di Mīnā (Mālā Sinhā), il grande amore di Vijay ai tempi del college, alla quale sono dedicate molte delle sue poesie. Presto licenziato da Mr. Ghosh, che sospetta una ripresa della relazione, Vijay ha un incidente e viene creduto morto. Solo Gulāb (Vahīdā Rahmān), una prostituta, crede nella sua poesia e, dopo la morte presunta di Vijay, fa pubblicare a sue spese una raccolta di versi del poeta. Il libro ha un grande successo e tutti coloro che l'avevano disprezzato ora si professano amici ed estimatori, ma il redivivo Vijay rifiuta il riconoscimento interessato ed ipocrita, per allontanarsi dalla falsità del mondo insieme con Gulāb. Il protagonista di questo "meraviglioso melodramma romantico... è la vittima di una società che rifiuta di riconoscerlo per ciò che veramente rappresenta e nello stesso tempo è il testimone doloroso delle sofferenze degli altri... Guru Dutt ha messo molto di sé in questo personaggio. Il suo pessimismo profondo, la sua ossessione di essere un artista maledetto, la tendenza al suicidio... il suo odio verso i ricchi, i cinici e gli ipocriti, il suo amore per gli umili" (Micciollo 1976).

Kāghaz ke phūl (Fiori di carta, 1959): Un regista famoso, Suresh Sinhā (Guru Datt), con un matrimonio infelice alle spalle, è impegnato a girare un remake di Devdās. Trova la protagonista ideale in una donna incontrata per caso, Shānti (Vahīdā Rahmān), senza famiglia e in cerca di lavoro. Il grande successo del film lancia Shānti come attrice, mentre il suo legame con Suresh diventa sempre più profondo, ma senza futuro. La fama di Shānti aumenta di pari passo con il declino di Suresh, che abbandona il mondo del cinema, nonostante i tentativi di Shānti di riportarlo indietro. Suresh, invecchiato e ridotto in miseria, torna a morire negli studi che l'avevano visto famoso. Il film riprende e approfondisce il tema di Pyāsā: dopo un poeta che rifiuta il tardivo riconoscimento e la falsità dei rapporti mondani, troviamo un cineasta famoso divorato dal cinema, la sua stessa creatura. Qui Guru Datt - come scrive H. Micciollo (1985) - "utilizza il cinema per filmare la morte e quindi per sfiorare sempre più la sua propria morte, per avvicinarsi ad essa, per addomesticarla. Il cinema è considerato in qualche modo come propedeutica all'annientamento e, contemporaneamente, come il modo privilegiato di conservare traccia di questo processo, a un tempo creativo e autodistruttivo".

Sāhab bībī aur ghulām (Re, regina e fante, 1962): Atulya Chakravartī (Guru Datt), da tutti chiamato Bhūtnāth ("Signore degli spettri", uno dei nomi del dio Shiv), è un giovane campagnolo che trova lavoro a Calcutta in una fabbrica di sindūr (la polvere rossa con cui le spose, con marito vivente, si decorano la fronte e la scriminatura dei capelli) e si innamora corrisposto di Jabbā (Vahīdā Rahmān), figlia del proprietario. La fabbrica si trova entro il perimetro di una proprietà, dominata da una sontuosa dimora patrizia dove vivono gli aristocratici Chaudhrī. Bhūtnāth stabilisce un profondo legame umano con Chhotī Bahū (Mīnā Kumārī), la dolente e bellissima "nuora minore", moglie di Chhote Bābū (Rahmān), o "signore minore", il più giovane dei fratelli Chaudhrī. Chhotī Bahū tenta l'impossibile per conquistare l'attenzione del marito, più attratto dalle cortigiane che dalla virtuosa consorte, che per lui si trasformerà in una specie di cortigiana, per finire alcolizzata. Molti anni dopo, quando Bhūtnāth, diventato architetto, sovrintenderà alla demolizione della dimora ormai in rovina, scoprirà il mistero della sua scomparsa. Sāhab bībī aur ghulām, secondo alcuni (e chi scrive), è l'opera più grande tra quelle di Guru Datt, la più matura, la più vicina alla sua anima. In questo film, ancor più che nei precedenti, il tema della morte, dell'annientamento come sola certezza, incombe fin dalla prima inquadratura: "Guru Dutt si concede qui, ancora una volta, il lusso di contemplare la propria distruzione" (Micciollo 1976).

 

Filmografia
(Nei film contrassegnati da *, Guru Datt compare come/anche come attore; nei primi cinque film è anche aiuto-regista; mentre nel secondo anche coreografo)

Lākhārānī* (1945, re. Vishrām Bedekar)
Ham ek hain* (Noi siamo uno, 1946, re. L.P. Santoshī)
Mohan (1947, re. Anādināth Banarjī)
Girls School (1949, re. Amiy Chakravartī)
Sangrām (Guerra, 1950, re Gyān Mukharjī)
Bāzī (La partita, 1951, regia e, in collab. con Balrāj Sāhnī, soggetto)
Jāl (La rete, 1952, re., sogg. e sceneggiatura)
Bāz* (Il falco, 1953, re., sogg. e scen.)
Ór pār* (Testa o croce, 1954, re. e produzione)
Mr. & Mrs. 55* (1955, re. e prod.)
C.I.D. (1956, prod., re. Rāj Khoslā)
Sailāb (L'inondazione, 1956, re.)
Pyāsā* (L'assetato, 1957, re. e prod.)
12 O' Clock* (1958, re. Pramod Chakravartī)
Kāghaz ke phūl* (Fiori di carta, 1959, re. e prod.)
Chaudahvīn kā chānd* (La luna del quattordicesimo giorno, prod., 1960, re. M. Sādiq)
Sāhab bībī aur ghulām* (Re, regina e fante, 1962, prod.)
Bahurānī* (La sposa, 1962, re. T. Prakāsh Rāv)
Bharosā* (Fiducia, 1963, re. K. Shankar)
Sānjh aur saverā* (Sera e mattina, 1964, re. Rishikesh Mukharjī)
Suhāgan* (La sposa felice [il cui marito, cioè, è vivo], 1964, re. K. S. Gopālkrishnan)

Bibliografia
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Baviera, P., 1991, "Il cinema di Gurudatt (1925-1964)", tesi di laurea, a.a. 1990/91, Venezia.
Chaddhā, M., 1990, Hindī sinemā kā itihās (Storia del cinema hindi), Sachin Prakāshan, New Delhi, pp. 332-346.
Kabir, N.M., 1996, Guru Dutt. A Life in Cinema, Oxford University Press, Delhi.
Khopkar, A., 1985, Gurudatt: Tīn ankī shokāntikā (Gurudatt: una tragedia in tre atti), Granthālī, Puna.
Micciollo, H., 1976, Guru Dutt 1925-1964, in "Anthologie du cinéma", Éditions de l'Avant-scène, vol. 9, pp. 129-184.
Micciollo, H., 1985, Guru Dutt le tendre, in "Cinéma", 317, Mai, pp. 17-22.
Rajadhyaksha, A., - Willemen, P., 1995, Encyclopaedia of Indian Cinema, Oxford University Press-British Film Institute, New Delhi-London, pp. 88-89.
Rangoonwalla, F., 1973, Guru Dutt, 1925-1965: A Monograph, National Film Archive of India, Poona.
Tesson, C., 1983, Découvrons Guru Dutt et Ritwik Ghatak!, in "Cahiers du cinéma", n. 343, Janvier, pp. 36-40.

Cecilia Cossio