Water margin/all men are brothers - Shuihu Zhuan

L'inconfondibile Zhang Che dà la sua interpretazione del mitico romanzo storico: battaglie fastose, combattimenti all'ultimo sangue, drammi d'onore e di morte, il tutto diretto con abbondanti zoomate e fermoimmagine: l'archetipo del film disordinato, esuberante, gioiosamente sanguinario che ha fatto la gloria di Hong Kong.

WATER MARGIN/ALL MEN ARE BROTHERS - SHUIHU ZHUAN

 

Hong Kong/1972/131'
Prod: Run Run Shaw
Regia: Zhang Che e Wu Ma
Interpreti: David Chiang, Ti Lung, Kurosawa Toshio, Tanba Tetsuo, Wang Chung

Epopea scontrosa e misognia, Water Margin è un film particolarmente costoso che sfrutta tutti gli ampi scenari degli studi Shaw, nonché una pletora di star dell'epoca. Trae origine dal celebre romanzo omonimo del XIV secolo. Quest'ultimo ha fornito nel corso dei secoli innumerevoli storie per il teatro, e viene naturalmente adattato al cinema. Zhang ne trae spunto (non d'altro si tratta) per mettere in scena la sempiterna lotta tra campioni di kung fu. Ciò che interessa qui il regista è il rapporto morboso tra allievo e maestro, che mai si separano e che sono legati dal vincolo più sacro, quello del debito e dell'onore. Sfumature omoerotiche sono naturalmente presenti: Maestro Lu è stato tradito dalla bella moglie e dal viscido amante di lei. Una volta catturata la coppia fedifraga, Maestro Lu uccide senza esitazione il rivale, ma non riesce a colpire la moglie. Con uno scoppio di violenza inatteso, e rivelatore, il discepolo (chiamato il Bello, ed interpretato da ricorrente David Chiang) solleva la donna per i capelli, la chiama "puttana!" ("bitch" nei sottotitoli inglesi, "yinnü" in cinese, donna impregnata di lussuria) e la sgozza con due colpi di spada ben affondati. Il maestro aggrotta le ciglia, rattristato ma sollevato (e fiero del discepolo) al tempo stesso.

La trama rivela anche l'inconsistenza dei valori legati alla società, per privilegiare un rapporto d'onore tra i singoli gruppi. Labile è il contrasto tra briganti e tutori dell'ordine, come labile è d'altronde la differenza che li separa. Mentre la coppia fedifraga è chiaramente "cattiva", reprensibile di tradimento (il peccato più grave del codice cavalleresco), i banditi operano ai margini della legge, le loro motivazioni sono oscure, ma non sono identificati come malvagi. Tant'è che i due protagonisti, il Bello ed il suo maestro, sono reclutati controvoglia dai briganti. È a causa di questi ultimi che il maestro viene arrestato: non li consegna subito alla giustizia ma preferisce custodirli nelle sue prigioni e liberarli in seguito; viene così incastrato dall'amante della moglie. Disperato, David Chiang il Bello corre in suo aiuto al fianco dei briganti, responsabili indirettamente della sua caduta. Una volta liberato il Maestro, è già però troppo tardi, i due protagonisti non hanno altro posto dove andare se non seguire i briganti ed allearsi a loro. L'ultima spettacolare scena di battaglia contrappone il vecchio e rispettabile Maestro Lu e il tutore dell'ordine con le sue truppe. Il confronto non è più tra bene e male, ma tra onore e onore. Il primo non può voltare le spalle a coloro che l'hanno salvato mettendo in pericolo le loro vite, ed il secondo non può esimersi da fare il suo lavoro di giustiziere. I due si sfidano dapprima attraverso i propri discepoli, che altro non sono se non carne da macello (come in buona parte dei wuxiapian, in maniera particolarmente insistita in Golden Swallow/Jin Yanzi, Zhang Che, 1968).

I combattimenti sono fantasiosi e sanguinari, il "Zhang Che Touch" è evidente nell'eroe rossovestito che riceve due frecce nel ventre ma vince, anche se martirizzato, e non muore ma si allontana grondante sangue. Il tocco del sanguinario maestro dei film di arti marziali cade pesante anche nei numerosi sventramenti (uno aereo: un soldato volteggia per aria e riceve una sciabolata che lo apre in due, come lo sfortunato Silver Roc, cavaliere vendicativo di Golden Swallow). Magistrale è l'ultima scena: il magistrato imperiale è sconfitto; il maestro non lo vuole finire. Così il magistrato decide di darsi da sé il colpo di grazia, nella forma del supplizio dello strapparsi il cuore con le proprie mani. Salta, compie una piroetta all'avanti, ed il fermo immagine (tecnica particolarmente insistente lungo tutto il film) lo immobilizza a mezz'aria, le mani sul petto che tentano di aprirlo, le viscere esposte. Lui dovrebbe essere il garante dell'ordine; ma la sua funzione passa in secondo piano di fronte alla prova di lealtà virile del maestro e del suo discepolo (il secondo notevolmente più deciso ed incisivo del primo) che decidono di unirsi ai ribelli. Questi sono mostrati all'inizio del film nel bel mezzo di una festa dove scorrono litri e litri di vino. È poi alla fine che la figura del loro esercito assume appieno la dimensione barbara e sanguigna: durante lo scontro dei campioni, i maestri faticano a tenere a bada l'orda di uomini che preme, preme violentemente sulle alture, tra i campi, ed esplode, quando vede il proprio capo in difficoltà, in un urlo selvaggio di guerra: le armate gialle, come un fiume in piena selvaggio e violento, rotolano a valle, addosso al nemico.

È questa massa confusa di uomini armati il vero soggetto del film; il maestro Lu è infatti sempre in prigione, ai ceppi, legato ed umiliato, figura cardine dell'attrazione verso il bondage dei film di Hong Kong. Il discepolo, il Bello, brama dalla voglia di liberare il maestro-padre (amato?) dalle catene sociali (in primis il matrimonio: è con piacere che ammazza la moglie sotto i suoi occhi) per poter insieme a lui unirsi ai banditi. Il Bello vuole associarsi ad un gruppo che agisce in base ai principi cavallereschi di lealtà, scevro da dipendenze politiche e sociali, libero di darsi all'azione violenta e spontanea. Egli brama, sin dall'inizio del film, e molto visibilmente, di entrare a fare parte del gruppo di muscolosi, sudati, sporchi e violenti soldatacci, compagnia ideale di gioventù e spietatezza.

Anche la regia esprime la gioia della comunità virile. Questa forma è ben presente, già dalle prime scene, e ricorre per tutto il film: un piano d'insieme descrive compagnie di soldati a cavallo, e uno zoom velocissimo (accompagnato da jingle morriconiano) isola un personaggio, un volto, un braccio sudato. O il contrario: un volto in primo piano, poi lo zoom veloce iscrive il volto nel contesto dell'albergo, della festa, della compagnia cui appartiene. Così durante i combattimenti: essi non sono descritti con grande efficacia, abbondano i ralenti che rivelano qui una certa staticità degli attori. Rimarcabile è invece la scena finale dove decine e decine di uomini si battono in una radura collinosa, e arbitrariamente (con una curiosità dello sguardo quasi infantile, giocosa, apparentemente improvvisata) lo zoom isola un movimento, un volto minaccioso, una figura marziale. Tutto il piacere del cinemascope fila sotto gli occhi ammirati degli spettatori, e alla fine l'armata a cavallo, cui si sono aggiunti il Bello ed il suo maestro, parte compatta, sfila lontana all'orizzonte unita. Non ci sono più i guerrieri singoli, ma la compagnia di briganti, unita. Panoramica. Cinemascope.

Corrado Neri