Blood brothers - chi ma

Forse il capolavoro di Zhang Che: un dramma d'amore e d'onore, un ampio affresco storico dal tono elevato ampiamente sostenuto da un budget importante. Il lato oscuro del regista, nel suo film più cupo e pessimista.

BLOOD BROTHERS - CHI MA

Hong Kong/1973/122'
Prod: Run Run Shaw
Dir: Zhang Che
Int: David Chiang, Ti Long, Ching Li, Chen Kuai-tai, Danny Lee

Blood Brothers fa parte della produzione più ispirata di Zhang Che. Girato all'inizio degli anni 70, con le due fedeli star David Chiang e Ti Long, ha un tono lento e solenne, il ritmo è cadenzato dai conflitti di profonde emozioni e contraddizioni quasi shakespeariane che coinvolgono gli individui e la società, la vendetta e la passione. Restano elementi che permettono di localizzare il film nelle sue coordinate artistiche ed autoriali. Nella massa caotica e spesso informe della filmografia di Zhang, Blood Brothers si staglia (come Vengeance/Baochou, 1970) per la profonda serietà di intenti e la sceneggiatura particolarmente curata. Per una volta sono dunque più i conflitti psicologici che contano, piuttosto che le scene di combattimento. Esse sono presenti, ben inteso, e pure impressionanti. Ma sono rari i salti, i volteggi celesti, l'esibizione di poteri sovraumani da parte dei protagonisti.

Il primo scontro è decisivo, oppone i tre fratelli di sangue, stabilisce i vettori delle loro emozioni. Si tratta d'uno scontro nobile. Chang (David Chiang) ed il fratello sono due perdigiorno, che si improvvisano briganti. Prendono d'assalto Ma (Ti Long), giovane di eccezionale carisma che ben si presta alla pugna, e che ne segue con onore i codici. Così come onorevoli sono i ladri, che si scontrano uno alla volta con Ma lasciandogli modo di difendersi alla pari. Il fratello minore rivela ciò nonostante una grinta giovanile esplosiva ed esuberante, allora che Chang è un gentiluomo, propone di lasciare andare il valoroso guerriero e si batte con un sorriso sulle labbra, ammaliato dall'eleganza dell'avversario e dalle sue parole, che gli chiedono: avete voi un progetto? La vostra vita ha uno scopo?

Tutto ciò è raccontato in flashback: il film si apre infatti sulla fredda bellezza di David Chiang tratta in prigione in catene; resta sul suo volto un sorriso sprezzante, di scherno e sfida. La storia che racconta ai giudici è drammatica: il generale Ma, dopo aver passato gli esami imperiali, ha chiamato a se i due vecchi amici. Ma si è poi innamorato della moglie del fratello minore di Chang, ed ha fatto uccidere il rivale. Ha tradito, per amore d'una donna e per brama di potere, il vincolo più sacro: quello dell'amicizia virile.

Mentre scrive le sue confessioni, Chang esibisce un'espressione dolorosa (l'ineluttabilità della tragedia) e cinica (non teme la giustizia dei magistrati, lui ne segue una maggiore e più vera).

Ben diverso è il sorriso del combattimento finale che lo oppone a colui che lo ha tradito. Chang infatti deve vendicarsi, perché questo prevede il codice cavalleresco, deve vendicare colui che ha tradito il fratello e che lo ha fatto uccidere. Deve vendicarsi, deve uccidere il generale Ma il quale, soprattutto, rappresentava per il giovane Chang l'ideale di uomo e di cavaliere. La contraddizione è tutta riassunta nel sorriso amaro che fa eco agli occhi tristi, velati dalla consapevolezza del dramma durante la furia rabbiosa del massacro finale: Chang uccide Ma, lo deve fare, ma lo fa, è evidente, con una profonda tristezza.

Così l'interminabile scontro finale non è, come spesso nel cinema di Hong Kong (nel cinema dello stesso Zhang Che), puro virtuosismo coregrafico. Al contrario è un grido di dolore in cui ogni colpo sferrato avvicina al compimento della ineluttabile vendetta e parallelamente alla fine di un'amicizia solidale e, secondo i valori del protagonista, più preziosa di ogni altra cosa. Chang dimostra già dall'inizio un animo da cavaliere ed è pronto a seguire Ma, senza porsi delle domande, è completamente affascinato dall'ambizioso eroe.

La scena in cui Chang giustizia Ma è drammaticamente punteggiata da immagini del massacro del fratello (come in Vengeance): un drammatico parallelo è stabilito. Ma se in Vengenace la rivalsa finale è, pur se fatale a lui medesimo, momento di vittoria quasi gioiosa per l'eroe, qui è fonte di sofferenza pari a quella della vittima. Non per niente, le stesse scene saranno riprese alla fine: la donna guarda dalla finestra il funerale del suo amante ed il martirio del suo assassino. Si sovrappongono due immagini: il volto della donna in lacrime e i ricordi piacevoli del tempo che fu, i corpi sani e giovani dei due fratelli, dell'amante, dei ragazzi che erano prima che il potere e la brama di possesso li accecassero. Si potrebbe dire, per coerenza con interpretazioni ricorrenti, che la donna è causa di disgrazia e accecamento e porta disunione nel gruppo virile, in principio coeso. Il protagonista l'ha capito e la odia con tutto se stesso, la odia e disprezza Ma che per una femmina ha fatto uccidere il suo alleato più prezioso. Eppure è certo anche che Ma è accecato dall'ambizione, impaludato dai suoi vestiti Qing di mandarino, e in un monologo lancinante promette che niente ostacolerà la sua avanzata verso il successo. Così il duello finale è uno dei più drammatici del cinema di Hong Kong, perché privo della tipica esaltazione sanguigna e grandguignolesca; è impregnato, al contrario, di un senso di tragica fatalità

Zhang declina ulteriormente alcuni dei suoi temi figurativi feticcio: il duello all'arma bianca, e soprattutto la figura del combattente colpito da un coltello che continua imperterrito a pugnare. Qui è Ma che combatte fino allo stremo con il manico della lama che gli spunta dal ventre insanguinato. È un parallelo (tutte le mutilazioni sono sempre in parallelo: cfr Crippled Avengers e The New One Armed Swordsman) con la fine che Ma ha riservato al suo amico, e che aspetta Chang alla fine del film. Si ripete anche la figura dell'uomo solo che si oppone a decine e decine di avversari. Calata in un'atmosfera angosciosa e cupa, questa figura perde la gioia vitale e d esplosiva di buona parte dei classici supereroici di Hong Kong, in cui questo tipo di sequenze intende esaltare anzitutto la forza sovrumana dell'eroe, ed insieme suscitare nello spettatore reazioni quasi fisiche di esaltazione. Qui, piuttosto, similmente ai chambara giapponesi che il film prende a modello, ci troviamo di fronte ad una traumatica rivelazione della solitudine dell'eroe. Davanti alle truppe di Ma, il protagonista compirà la sua vendetta, ma sarà soverchiato subito dopo. D'altronde, si rende spontaneamente al tribunale, dove fornisce la sua confessione sincera e sofferta (è in catene per tutto il film, che procede a flashback). L'eroe innocente, vitale, gagliardo e ingenuamente fedele si scontra con il tribunale, che ha ricevuto un ordine imperiale di giustiziare il prigioniero. La sua figura si staglia per la sofferta nobiltà del tremendo gesto compiuto, ma la società non può accettare un elemento così anarchico, e lo tortura nonostante abbia reso spontanea e piena confessione, e lo giustizia nel più atroce dei modi.

La sceneggiatura è insolitamente complessa: momenti estremamente emozionanti del film sono anche alcune scene di dialogo elegantemente dirette. Soprattutto quelle che mettono in scena tutti e quattro i protagonisti riuniti a tavola. Con un gioco di sguardi espressivo e di grande impatto (quasi una battaglia strategica avesse luogo) si disegnano le traiettorie dei rapporti che saranno. Chang sospetta qualcosa, guarda ad intermittenza Ma e la donna, e li scopre amanti notando le tracce di sudore sulla fronte dell'uomo, di lacrime sulle guance di lei, mentre il marito tradito nulla sospetta, emblema del guerriero godereccio e fedele, d'animo buono e di spirito coraggioso ma ingenuo. Costui non vuole credere all'avviso del fratello, che cerca di bloccargli la strada mentre si dirige verso la trappola che Ma gli ha teso. Il fratello colpisce Chang e prosegue per la sua strada al servizio del suo signore ed amico; è troppo impregnato di spirito cavalleresco e brama d'avventura giovanile per poter sospettare un tradimento così atroce. Viene ucciso; la sua morte è una lunga agonia, esagerata, espressiva; il ragazzo rotola su se stesso e geme e chiede "chi vuole uccidermi? Chi sono i vostri mandanti?" come se non fosse chiaro, come se non fosse esplicito. Non vuole crederci. Non può, perché è un eroe semplice che non si è mai fatto corrompere dal potere.

E infatti che innocente vitalità esprimono le scene dei primi exploit dei tre guerrieri riuniti: sorridenti ed intrepidi nella battaglia, fieri a cavallo spalleggiandosi, come dei ragazzini contenti delle prima conquiste.

Zhang Che riesce a descrivere nuove strutture negli abusati locali degli studi Shaw, per una volta rompendo l'abitudine del travelling laterale che descrive tutto lo spazio all'interno delle immagini. Gioca con le linee rette, le colonne, le finestre intarsiate attraverso cui si intravedono i corpi. Il desiderio di Ma per la giovane sposa del suo alleato si esprime dapprima in spazi aperti (il tradimento viene consumato una prima volta sulle rive di un ruscello), poi negli spazi chiusi e claustrofobici della sua residenza. Le architetture labirintiche, la divisione in spazi mutevoli, le pagode ed i ponticelli, gli studi ed i piccoli giardini artificiali interni: anche lo spazio, oltre ai costumi sempre più elaborati che indossa, significa la sempre maggiore ricchezza e prestigio sociale di Ma. Parallelamente, l'ambiente della casa metaforizza le convenzioni sociali e la gabbia dorata dentro cui si sta rinchiudendo Ma, e dentro cui sta chiudendo chiunque gli stia attorno. A questo proposito si veda la scena notturna, dopo il primo scontro con Chang. Quest'ultimo lo accusa di voler uccidere il fratello, Ma ammette, sentenzia che nessuno si potrà più porre sulla sua strada. La donna lo implora di non uccidere il marito, invano. Chang si scontra con lui, uno scontro rabbioso e che si avverte non sarà risolutivo. La donna pudicamente, ma anche senza speranza, rassegnata al male che ha involontariamente causato, si allontana chiudendo la porta di legno intarsiato. Chang fugge. È notte. Il generale Ma passeggia per il giardino, il volto cupo. Guarda verso l'alto. Il controcampo mostra la donna che lo fissa, impaurita. Silenzio. Si ripete l'alternanza di piani, è buio, lo spettatore sa già cosa è successo nei boschi: il marito della donna è stato massacrato a tradimento. Arriva la truppa con cui era partito. Dà la triste notizia. La donna piange. I due amanti si affrontano in silenzio, in una sequenza tormentata: lui è fuori dalla porta, solo il viso è debolmente rischiarato. La sua espressione rivela la stanchezza, la vittoria, non certo il pentimento. Lei, senza dire una parola, sta in piedi in mezzo alla stanza, il volto per metà coperto da un velo arancione. Lo fissa con qualcosa che assomiglia al terrore e all'incredulità. È la sua schiava, e lui non è più l'eroe nobile che li aveva conquistati, tutti e tre, all'inizio del film. Non è più l'eroe che studia ed insegna, che spinge il popolo verso un progetto, li incita all'azione. Tutto ciò è un flashback.

Zhang Che sfrutta i ricchi décor e gli ambienti naturali per creare uno affresco imponente di un'epoca, che significa tutta la caduta di un impero causato dall'ambizione sfrenata e spietata dei suoi giovani. Un uso molto parco dei ralenti e degli zoom (che invece abbondano in altre produzioni, soprattutto in Water Margin) va in parallelo con un ritmo cadenzato. Il montaggio non è ipercinetico, senza essere lento; la mdp è sovente in leggera inclinazione dal basso per sottolineare la possanza dei personaggi e l'enormità tragica dei loro dilemmi morali; il regista fa uso accorto del cinemascope non solo come mezzo spettacolare per sparpagliare decine di figuranti in un campo e farli combattere, riservandosi di zoomare su una coppia particolarmente efferata; qui la larghezza dello schermo permette di giocare sulle posizioni dei personaggi, sì che la loro disposizione spaziale renda esplicito il loro travaglio interiore. Di frequente i tre eroi sono nello stesso quadro, e la donna arriva di colpo, dal fuori campo, a turbare in qualche modo la loro intesa. Il tribunale in cui Chang scrive la propria confessione è descritto come un insieme di rette asimmetriche (le architetture; i bastoni dei carcerieri), in modo da costringere il corpo del giovane in uno spazio angusto senza via di fuga. Parimenti lo scontro finale: i due giovani (Ma e Chang) sono circondati da montagne e da padiglioni, nonché da tutte le truppe che li osservano dalla collina sovrastante. Quando al contrario l'agguato iniziale (Chang ed il fratello affrontano Ma) avviene in uno spazio aperto, che simboleggia la possibilità di scelta della gioventù incorrotta.

Interessante è infine la scena finale, che rispecchia l'incipit. Quest'ultimo vede muoversi truppe in un caotico disordine: hanno catturato l'assassino del generale Ma. Si susseguono dei fermo immagine su cui sono impressi i titoli di testa. L'ultima scena si chiude anch'essa su un fermo immagine: i funzionari che celebrano il funerale del generale Ma e l'esecuzione del suo assassino. Ridono, si congratulano. Il fermo immagine immobilizza i loro volti grassi e crudeli, la risata del potere cieco e villano, della società rigida e paralitica che porterà al crollo dell'impero Qing.

Corrado Neri