L'UOMO, UN DIO Conversazione con Yanagimachi Mitsuo
Yanagimachi Mitsuo parte da Mizoguchi e dal suo vagare distante tra gli oggetti dell'essere, per calarsi poi a mani nude in realtà ossessive e degradanti, nei tranelli di una società corrotta che non denuncia, ma si limita a osservare. E così facendo riporta il cinema del suo paese a quella ricerca dell'essenzialità perseguita da autori classici come Ozu e Naruse. Una la costante del suo filmare: il viaggio verso un «feticcio di sé» compiuto da personaggi forti, quasi déi, posti al di sopra della norma e per questo destinati al sacrificio sociale. Cinquantadue anni, solo sette film all'attivo. Ma intensi. Dopo un'esperienza durata un quinquennio come assistente alla regia per documentari didattici, nel '74 Yanagimachi fonda la propria casa di produzione, la Gunro Eiga, con cui realizza il suo primo film da indipendente, God Speed You! Black Emperor (1976). Già in questo documentario su una gang di motociclisti (dei quali il titolo - in inglese anche nell'originale - ripropone uno slogan), il regista descrive con una macchina da presa agile e sincopata l'ormai endemica disgregazione di antichi valori: in questo caso quelli legati alla famiglia all'interno di una società in vorticosa trasformazione nel nome del progresso. Dal mutamento alle sue vittime: si animano così personaggi emarginati per predestinazione, criminali ultra-eroi che oscillano tra imposizioni del reale ed estasi mitologiche e divine. Sono ritratti a tutto tondo, senza punti di vista o false smussature: né condannati né idolatrati dall'occhio/macchina da presa che li scruta da una distanza costante. La disgregazione dei valori torna in Jukyūsai no chizu (1979, La mappa dei diciannove anni), film tratto dall'omonimo romanzo di Nakagami Kenjifile:///C:/Users/User/Desktop/Asiamedia/ASIAMEDIA/Asia%20media%20sito/giappone/schede/dio.html#Anchor-Note1946-8893 che segna il breve sodalizio tra i due autori. Il successo a Cannes (1980) premia la storia di un giovane disadattato che dalla provincia arriva a Tōkyō, trovando nella capitale una città troppo ampia per le sue fobie e via via gli stimoli per una personale missione sterminatrice. Non solo la città, anche la campagna dimentica la propria identità e le antiche tradizioni: questo tema, insieme a quello del rapporto uomo/ natura, si ritrova nel successivo Saraba itoshiki daichi (1982, Addio, amata terra natale). Il film allude al ritorno dello stesso Yanagimachi alla sua terra d'origine, l'estrema periferia di Tōkyō: un tragitto che approda a un disorientamento grave e inevitabile, da cui prende il via la tragedia di un uomo alle prese con la droga e i fallimenti della propria vita. È tuttavia con il successivo Himatsuri (1985, La sagra dei fuochi) che Yanagimachi firma la sua opera migliore, fondendo tutti i temi da lui precedentemente affrontati. Qui il regista e lo sceneggiatore Nakagami rispettano rigorosamente la crudezza del fatto di cronaca (il massacro della propria famiglia da parte di un uomo), senza simpatie o accuse di sorta nei confronti del protagonista. E immergono il tutto in un clima di misticismo poetico. Per ambientare l'ascesi dell'eroe verso l'atto finale, Yanagimachi sceglie Kumano, l'area del Giappone considerata sacra sin dalle origini dello shintoismo: terra di contrasti tra natura e progresso, tra tradizione e modernità. I segni divini presenti nella natura si trasferiscono di volta in volta nel personaggio, che a sua volta se ne appropria in un crescendo di dissacrazioni (un tuffo nelle acque sacre, il corpo nudo immerso nella natura, la violenza sulle scimmie). Iconoclasta e profano, uomo vulnerabile e dio, il protagonista di Himatsuri ritorna al suicidio rituale come forma di rifiuto sociale. Identità a confronto e ricerca della parte oscura di sé si ritrovano come temi centrali anche in China Shadow (1990, titolo originale in inglese), storia di un altro uomo "forte" che fugge dalla Cina della Rivoluzione Culturale e approda a Hong Kong, dove scopre di avere origini giapponesi. È questo forse il film minore di Yanagimachi, penalizzato dall'attore protagonista, un John Lone davvero poco adatto al ruolo. Con Ai ni tsuite, Tōkyō (1992, Sull'amore, Tokyo), Yanagimachi ripropone ancora il motivo della sfida alla vita, questa volta attraverso la storia di un giovane immigrato cinese che, dopo aver trovato lavoro in un mattatoio, si lascia inguaiare da un proprietario di sale da gioco e finisce per lasciargli la donna che ama. Le condizioni di vita e di lavoro del protagonista alludono alla più generale situazione degli stranieri in Giappone: un tema cui, in questi ultimi anni, la produzione nipponica ha dedicato numerosi film, ma sull'onda del fenomeno sempre più crescente dell'intolleranza razziale. Si tratta infatti di soggetti filtrati dalla morale giapponese, con una concezione manicheistica dell'Altro. Yanagimachi tenta invece di riprendere il problema dal suo interno, mostrando la perdita delle speranze e dei principi etici di questi personaggi in balia di un incontrollabile gioco economico. È nella figura dello straniero che Yanagimachi identifica ciò che i giapponesi hanno perso del proprio passato. Da questo profondo rammarico nasce il suo ultimo lavoro, Tabi suru Pao-Jang-Hu (1995, I Pao-Jang-Hu erranti). Ambientato e girato a Taiwan, il film descrive, attraverso una macchina da presa mobilissima, un itinerario tipo nella vita di un gruppo di ambulanti un po' saltimbanchi, un po' guaritori. È un'attività che sconfina nell'esibizione. Non solo perché i protagonisti costruiscono degli spettacoli tramite cui vendere i propri prodotti, ma anche perché, più di quanto avviene negli altri film del regista, essi permettono alla macchina da presa di infliltrarsi tra i loro corpi e di spiarne i gesti, lasciandosi riprendere fin dentro la loro intimità, nei riti quotidiani, nelle speranze, nei contrasti di vita. Il loro si configura dunque come il percorso di una piccola società in movimento, in "viaggio" verso il punto di partenza, ciclicamente fino al passato e ritorno. "È il destino dei giapponesi", dice Yanagimachi, "partire dalla propria terra per vivere nella speranza di tornarci". E da qui parte anche la nostra conversazione. Venti anni fa lei ha cominciato a realizzare film da indipendente, nonostante allora, a parte sporadici casi come Oshima e Imamura, fosse ancora molto forte il predominio delle majors. Soprattutto se si considera che il suo primo film è stato un documentario. Sia in Tabi suru Pao-Jang-Hu, sia in God Speed You! Black Emperor i personaggi appartengono a una minoranza sociale e, nonostante la loro appartenenza al gruppo, in qualche modo restano isolati. È un elemento abbastanza raro nel cinema giapponese di questi ultimi anni. Un personaggio analogo si ritrova però nel suo Jukyūsai no chizu, tratto dal romanzo omonimo di Nakagami Kenji, autore con cui si direbbe lei abbia avuto un rapporto di influenza reciproca. Dopo Nakagami, c'è qualche altro scrittore giapponese con cui pensa di poter entrare una simbiosi? Tornando ai personaggi dei suoi film, si tratta dunque di individui per cui il rapporto con gli altri si traduce in una ricerca di se stessi. Oltre che tra uomini, anche il rapporto con la natura resta costante. È una natura con cui non solo si convive, ma si combatte. Come in Himatsuri. In Himatsuri tuttavia il protagonista violenta quella natura in cui risiedono gli dei,. E così facendo violenta la sacralità. Tema esplicito del suo ultimo film è il viaggio. Ma anche in Jukyūsai no chizu il ragazzo protagonista percorre un viaggio, prima dal paese alla città, poi attraverso se stesso. E il viaggio ritorna ancora in quasi tutti i suoi film. Partire quindi definitivamente? A cosa si deve il suo interesse per la Cina? Gradualmente lei va sempre più verso la Cina: prima con China Shadow, poi con la storia di un immigrato cinese in Ai ni tsuite,Tōkyō e infine girando Tabi suru Pao-Jang-Hu a Taiwan. È un rapporto che intende portare avanti? Tabi suru Pao-Jang-Hu mette in scena personaggi esistiti anche in Giappone nell'antichità: il che non lo discosta molto dalla sua personale ricerca sulle matrici nipponiche della società. Come interpreta i suoi film il pubblico giapponese? In Himatsuri ha inserito molti elementi della tradizione e dello spirito nipponico. Come è stato accolto questo film? Lei lavora quasi sempre con lo stesso staff tecnico: per esempio il direttore della fotografia, Tamura. A proposito di personaggi in rapporto all'ambiente, trovo particolarmente interessante nei suoi film (compreso quest'ultimo Tabi suru Pao-Jang-Hu) la divisione della scena in quadri, all'interno dei quali più elementi interagiscono creando vari vettori visivi e un profondo senso del reale. In Tabi suru Pao-Jang-Hu la musica, così contrastante con quella del repertorio dei girovaghi, insiste sul tema del viaggio attraverso un ritmo cadenzato. E dopo Tabi suru Pao-Jang-Hu?
Note L'Art Theatre Guild era un circuito di piccole sale che dagli anni'60 alla fine degli anni '70 si interessò alla distribuzione di opere, inizialmente straniere e in seguito anche autoctone, di un certo livello artistico e prodotte a basso costo da autori indipendenti. Nata a Ise nel 1952, ha esordito con l'opera Gokuraku (Paradiso) e ha vinto il premio Gunzo nel 1981. 1644-1694 - poeta e "scrittore di viaggio" a cui si deve il perfezionamento dello stile della poesia haiku. |
Maria Roberta Novielli