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Fenomeno Coworking, specchio delle trasformazioni del mondo del lavoro

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Negli ultimi 15 anni il fenomeno Coworking è letteralmente esploso, anche in Veneto. Eventi recenti, in particolare  la pandemia di COVID-19, hanno agito da catalizzatore, accelerando l'adozione di modelli di lavoro ibridi. Diverse fonti stimano il valore del mercato dei coworking in circa 30 miliardi di dollari e in oltre 5 milioni di utenti e l’Europa, dopo l’Asia, è la regione del mondo con più spazi di coworking.

Questo tema è al centro del seminario Co.Co Workshop: Collaborative Spaces, the Future of Work, and Social Innovation, aperto a chi opera nel settore, rappresentanze sociali e amministratori locali e organizzato dall’Università Ca’ Foscari Venezia.

Solo in Veneto si contano circa 200 spazi di questo tipo, come emerge da un recente studio pubblicato da Busacca, Fontana e Bellè. Questi spazi non sono presenti solo nelle città principali ma innervano tutto il tessuto produttivo della Regione Veneto. Diventa allora fondamentale cercare di capire se e in che modo possono contribuire all’economia regionale, oltre a rappresentare un’opportunità imprenditoriale per alcuni e un’opportunità di accesso a spazi di lavoro a costi ragionevoli per altri.

Questo evento è parte di un progetto di ricerca finanziato dal programma di Ca’ Foscari SPIN “Co.Co. – the microphysics of Conflict in  Coworking spaces”, a cura di Maurizio Busacca, e di Daphné Reguiessé, rispettivamente professore e post-doc del Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali.  Il progetto esplora il ruolo degli spazi collaborativi come centri di innovazione sociale e riflette sulla possibilità  che diventino dei partner delle imprese e della pubblica amministrazione come infrastrutture di  supporto al mercato del lavoro, luoghi dove formare e accompagnare persone alla ricerca di un lavoro.  

Per fare ciò il progetto adotta due approcci innovativi. «Da un lato - spiega Busacca - compariamo i coworking attivi in diversi contesti istituzionali: Italia, Francia e  Repubblica Ceca, che per caratteristiche di contesto creano ambienti del tutto diversi per i  coworking; dall’altro lato cerchiamo di comprenderne il ruolo osservando i conflitti che hanno luogo al  loro interno. In questo modo cerchiamo di mettere alla prova la loro capacità di rispettare la promessa di rappresentare un luogo emergente del lavoro».  

Uno dei primi aspetti che emerge dalla ricerca è che in contesti diversi il coworking assume caratteristiche diverse. Le dinamiche di accesso, i modelli organizzativi (walk-in o booking) e le  pratiche di interazione variano sensibilmente tra i diversi contesti. A influenzare sono sia i quadri istituzionali locali (come normative sul lavoro o politiche urbane), sia le traiettorie personali degli utenti (freelance, remote workers, nomadi digitali, startup), sia ancora le scelte strategiche dei gestori.

«In Italia prevale un approccio più informale e relazionale, dove i coworking diventano luoghi di prossimità e socialità, spesso frequentati da lavoratori giovani o in fase di  riposizionamento professionale. In Francia, emerge una forte attenzione alla produttività e al  branding professionale, in modo simile alla Repubblica Ceca dove, tuttavia, spazi e utenti appaiono  più ibridi e dinamici, legati a percorsi imprenditoriali emergenti. Nonostante queste differenze, ciò  che unisce è la tensione verso un lavoro più umano, più connesso, e potenzialmente più  sostenibile».

«Il lavoro contemporaneo si sta ridefinendo – spiega  Reguiessé – attorno a nuovi valori di flessibilità, autonomia e socialità. I coworking non sono solo infrastrutture funzionali, ma veri e propri laboratori di innovazione sociale e professionale, dove si sperimentano nuove modalità di collaborazione, condivisione e appartenenza».

Dalla ricerca emergono anche segnali preoccupanti e che devono essere tenuti in considerazione. «Il coworking non è soltanto una risposta pratica al lavoro da remoto: è il riflesso delle trasformazioni del lavoro contemporaneo, in cui produttività, benessere e innovazione si intrecciano, ma dove emergono anche nuove forme di precarietà e insicurezza», prosegue Reguiessé.

Per freelance, expat o giovani professionisti senza reti locali, questi spazi giocano un ruolo fondamentale nell’integrazione urbana: permettono la costruzione di nuovi legami e contribuiscono a contrastare l’isolamento. Tuttavia, sottolinea la ricerca, i coworking riflettono le stesse disuguaglianze sociali delle nostre città. Nonostante la narrativa inclusiva, molti restano poco accessibili a chi ha redditi instabili – come giovani precari, artisti o migranti. I costi orari o mensili, le cauzioni, l’assenza di tariffe solidali rappresentano vere e proprie soglie  d’accesso.

Enrico Costa