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Intervista a Nuha Abdelhafiz Abdelaziz ABDALLA, ricercatrice all’Università di Khartoum e docente incoming Erasmus+ all’Università Ca’ Foscari Venezia

Nuha Abdelhafiz Abdelaziz ABDALLA

Sono ricercatrice presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Khartoum e sono coinvolta in varie attività accademiche, tra cui la formazione teorica e pratica degli studenti universitari e la supervisione degli studenti post-laurea.
Nel campo della ricerca scientifica, ho organizzato un’indagine etnografica e archeologica nell’area di Abu Delieg, nello Stato di Khartoum. Mi interessa l’etnoarcheologia – un metodo che prevede la conduzione di ricerche etnografiche per sviluppare ipotesi sulle pratiche e gli stili di vita dei popoli antichi e ho, per esempio, applicato l’etnoarcheologia allo studio della distribuzione dei siti archeologici nella regione di Butana, nel Sudan centrale. Questo approccio mi ha permesso anche di comprendere meglio le scene di caccia del periodo meroitico (300 a.C. – 350 d.C.) attraverso l’analisi dei graffiti rinvenuti nel sito di Musawwarat es-Sufra. In un altro studio, ho analizzato le tecniche tradizionali di pesca sul Nilo, insieme ai metodi di lavorazione e conservazione del pesce nelle diverse epoche della storia antica del Sudan.
Negli ultimi due anni, sono stata attivamente coinvolta in iniziative volte a proteggere il patrimonio sudanese dai pericolosi effetti del conflitto armato.

Qual è la situazione attuale del patrimonio archeologico del Sudan?

La guerra ha purtroppo avuto effetti catastrofici sul Sudan e i suoi abitanti. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha descritto la situazione come la più grave crisi di sfollamento al mondo. I combattimenti nelle città hanno distrutto gran parte delle infrastrutture del Paese.
La devastazione non ha risparmiato il patrimonio sudanese – sia materiale che immateriale. Il patrimonio materiale è esposto a gravi rischi di saccheggio e distruzione, mentre le ondate di sfollamento e il tragico bilancio delle perdite umane hanno causato la scomparsa di molti elementi del patrimonio immateriale e profondi cambiamenti nel contesto culturale di diverse comunità. Questo espone molti elementi del patrimonio immateriale a un rischio gravissimo, minacciandone la trasmissione e, in alcuni casi, l’esistenza stessa.

In che situazione si trova il Museo Nazionale del Sudan in tempo di guerra?

Secondo i primi rapporti, il Museo Nazionale del Sudan e altri musei di Khartoum e di altre città hanno subito danni, tra cui la distruzione di parti degli edifici, la perdita di attrezzature e il saccheggio di una parte significativa delle collezioni. Dopo che le milizie delle Rapid Support Forces sono state cacciate dallo Stato di Khartoum, i colleghi della National Corporation for Antiquities and Museums hanno avviato una complessiva ricognizione delle condizioni del museo, che sarà pubblicata a breve. In collaborazione con vari enti competenti, sia in Sudan che all’estero, sono già state intraprese alcune azioni concrete, tra cui la denuncia dei furti, la pubblicazione di bollettini con immagini e numeri di inventario dei reperti trafugati, e il contatto con organizzazioni regionali e internazionali per impedire la vendita dei reperti rubati e facilitarne, se possibile, il recupero.

Che cosa si può fare ora per tutelare la storia del Sudan?

La misura più urgente per proteggere non solo la storia del Sudan, ma anche il suo presente e il suo futuro, è la cessazione immediata della guerra. Ogni ora che passa comporta nuove violazioni, la perdita di vite umane e la distruzione di elementi del patrimonio ineguagliabili, che non possono essere sostituiti.
La tutela del patrimonio non significa solo difendere il passato: significa anche proteggere l’identità nazionale e l’essenza culturale del Sudan. Senza pace, non è possibile continuare gli sforzi per conservare questo patrimonio e trasmetterlo alle generazioni future.

Che cosa si potrà fare un domani, quando il conflitto sarà terminato e sarà possibile rientrare in Sudan a lavorare?

Quando la guerra sarà finita, sarà fondamentale che gli archeologi sudanesi partecipino immediatamente a progetti di ricerca che valorizzino l’identità sudanese. I conflitti che hanno colpito il Sudan sono stati legati, in un modo o nell’altro, alla questione dell’identità, ma gli archeologi non hanno avuto un grande ruolo nel dibattito. Credo che sia ancora possibile proporre una nuova visione unitaria del Sudan attraverso l’unitarietà della sua storia e delle sue radici culturali.

Lei è qui a Venezia per un progetto di scambio Erasmus+ tra Venezia e Khartoum. Come è nata questa collaborazione e quali vantaggi comporta?

La collaborazione tra il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Khartoum e la Missione Italiana operativa a Jebel Barkal è nata con l’organizzazione di diversi workshop e conferenze pubbliche, l’ultima delle quali si è svolta nel 2022 all’Università di Khartoum, alla presenza dell’Ambasciatore d’Italia in Sudan.
In quell’occasione abbiamo concordato di sviluppare questo legame a livello istituzionale, cosa che è avvenuta con il sostegno dell’ambasciata italiana e dell’amministrazione dell’Università di Khartoum.
Approfitto di questa opportunità per esprimere la mia gratitudine al Professor Emanuele Ciampini e alla docente Francesca Iannarilli per il grande impegno profuso per il successo di questa collaborazione. Ringrazio anche Enrico Marcato e i suoi colleghi e colleghe dell’Ufficio Relazioni Internazionali e del programma Erasmus+ per aver reso possibile questo progetto.

Qual è l’oggetto delle sue ricerche e in che modo il periodo in Italia potrà esserle utile?

Da quando sono a Ca’ Foscari ho partecipato a due seminari scientifici che mi hanno offerto un’importante possibilità di scambio e discussione sulla situazione del patrimonio in contesti di conflitto armato. Questo periodo di visita mi ha inoltre permesso di conoscere da vicino la Missione Italiana in Sudan, attiva da oltre cinquant’anni, attraverso il loro lavoro archivistico e di documentazione.
Infine, è stata un’occasione per visitare siti archeologici e musei a Venezia e a Roma. Questo mi ha permesso di conoscere meglio la civiltà veneziana e quella romana, sviluppando una nuova prospettiva che senz’altro concorrerà allo sviluppo della mia visione di ricerca futura.

A cura di Federica Scotellaro