VSM Alumni

Rita Samiolo, King’s College London
l’arte sottile di interrogare la contabilità per capire la società

A cura di VSM Alumni, maggio 2025

Rita Samiolo è alumna laureatasi in Economia Aziendale all’Università Ca’ Foscari Venezia. Dopo la laurea si è trasferita all’estero, dove ha ottenuto un dottorato in Accounting alla London School of Economics and Political Science, dove ha ricevuto una formazione interdisciplinare che esamina contabilità, finanza e calcolo economico da una prospettiva socio-politica, dialogando con la sociologia economica, l’economia politica e gli studi di organizzazione. Ha lavorato alla London School of Economics, all’Università di Innsbruck e a King’s College London, dove attualmente co-dirige il centro di ricerca FinWork Futures.
In questa intervista ripercorriamo insieme a lei le tappe più significative della sua carriera, le sue riflessioni sulla società dei numeri, le sfide affrontate e il valore di una visione critica e umana del sapere.

Da Venezia a Londra: che ruolo ha avuto la formazione in management a Venezia nella costruzione della tua carriera accademica?
Fui una studentessa di management inquieta. Sono sempre stata interessata ad aspetti storici, politici e sociali del governo dell’impresa e delle organizzazioni che non sempre affioravano nel corso di laurea. Le occasioni in cui tali aspetti sono emersi nel corso dei miei studi sono dunque state decisive. Per esempio, è in seguito ad una lezione sul New Public Management che tenne l’indimenticabile Barbara Czarniawska durante una sua visita a quello che al tempo era il dipartimento di Economia Aziendale, che decisi di scrivere la tesi di laurea su questo argomento. Da lì, con l’aiuto del mio relatore, scaturirono tutta una serie di contatti con il mondo accademico inglese che mi portarono a fare un dottorato all’estero. E, una volta giunta all’estero, mi resi conto che il sistema educativo italiano mi aveva dato strumenti importanti, come per esempio una formazione ‘generalista’, aperta a metodologie e paradigmi diversi, che mi aiutava a muovermi con disinvoltura in una varietà di teorie e discipline anche molto diverse tra loro, al contrario di molti colleghi stranieri di formazione molto più specialistica.

Il tuo lavoro indaga il modo in cui contabilità e numeri influenzano decisioni politiche e sociali. Cosa ti ha affascinata di questo ambito?
Viviamo in un mondo sempre più organizzato e governato da numeri e processi di calcolo – nel bene e nel male. Esaminare i processi di quantificazione, misurazione e valutazione che sottendono l’organizzazione della società nei più disparati ambiti, i metodi e le modalità - spesso controversi - in cui individui e organizzazioni
vengono resi ‘calcolabili’ in modo da poter intervenire su di essi (tipicamente con l’ambizione di riformare, progredire, razionalizzare, democratizzare…), significa
andare al cuore di come funziona (o dis-funziona) il ‘governo’ delle società contemporanee, di quella che in inglese si chiama la ‘technopolitics’ del mondo contemporaneo.

Guardando al panorama internazionale, quali competenze ritieni oggi fondamentali per costruire un percorso accademico con respiro globale e impatto reale? 
Nella società dei numeri e nella cosiddetta ‘age of machines’, a mio avviso sarà sempre più importante non diventare semplici appendici di sistemi di calcolo (e dunque dispensabili ad ogni nuova ondata di automatizzazione), utilizzatori passivi di strumenti informatici che sembrano rendere la nostra vita più facile, ma che probabilmente, come sottolineato da critici come Shoshana Zuboff, ci rendono anche più ‘stupidi’ e meno liberi. A mio avviso vanno coltivate conoscenze competenze e sensibilità che aiutino a comprendere tali sistemi sia da dentro che da fuori, apprezzandone le possibilità ma anche i limiti e gli aspetti più insidiosi. Ritengo che ciò sia fondamentale non solo da un punto di vista professionale, per cogliere le migliori opportunità sul mercato del lavoro, ma anche dal punto di vista dell’interesse generale, per mantenere e ampliare la capacità di ‘governare’ questo enorme meccanismo che stiamo costruendo e nei cui ingranaggi siamo sempre più coinvolti.

Qual è stata la sfida più grande che hai incontrato nel tuo percorso professionale e come l’hai superata? Cosa ti ha aiutata a restare motivata nei momenti più complessi?
Lasciare famiglia e amici, studiare all’estero in una grande metropoli e diventare cittadina di un altro paese è stata una grande occasione di crescita, ma come tutte
le esperienze che ci fanno crescere, è stata anche difficile, soprattutto all’inizio. La sensazione di sradicamento che provai allora non mi ha mai del tutto lasciata. Ho
cercato di compensarla, aprendomi al nuovo e mettendomi in discussione, anche con ironia.

Oltre alla tua carriera accademica, sei una mamma. Quali sfide hai incontrato nel conciliare carriera accademica e maternità, e che messaggio vorresti
lasciare a chi sogna una carriera senza dover rinunciare alla propria vita personale?
Come tutte le madri lavoratrici sanno, conciliare carriera e cura dei figli richiede grandi sacrifici, in termini di fatica fisica e psichica. Arrivano momenti in cui si
realizza di non ‘performare’ come si vorrebbe né in un ambito né nell’altro, di aver perso energia e motivazione che prima dei figli si davano per scontate. Tutto questo
non è facile da accettare, soprattutto per la mia generazione, che ha visto le aspettative nei confronti delle donne aumentare in modo esponenziale, dal
momento che si è ormai ‘libere’ di muoversi su più fronti e non solo quello della cura della famiglia. Non ci sono formule magiche per affrontare il tutto, ma si può
prendere coscienza dell’arbitrarietà, misoginia e logica estrattiva della cultura che chiede alle donne di fare sempre di più, uscendo dalla logica del dover ‘performare’.

Se potessi tornare indietro, che consiglio daresti alla te stessa neolaureata a Venezia, agli inizi di un percorso che ti avrebbe portata nel cuore dell’accademia internazionale?
Difficile dirlo. Il mio percorso è dipeso per molti versi dal caso e dalla fortuna più che da scelte consapevoli, e forse il consiglio da dare è ‘non pensarci troppo’ e ‘fare un passo alla volta’.

Il percorso di Rita Samiolo è un invito ad abbracciare le complessità della contemporaneità senza smettere di interrogarsi sul senso delle cose. Attraverso una carriera costruita tra Venezia, Londra e Innsbruck, Rita ci mostra come sia possibile coniugare pensiero critico, impegno accademico e vita personale, senza rinunciare alla propria umanità. Un passo alla volta, senza dimenticare da dove si è partiti.